Partiamo da un dato certo: quello della scuola è un contratto che va assolutamente rinnovato ma i fondi per aprire il negoziato sono quelli contenuti nella legge di Bilancio e coprono a malapena l’inflazione, senza arrivare minimamente agli aumenti a tre cifre del contratto sottoscritto dagli statali.
Andiamo ad un’altra certezza: la scuola ha fatto il possibile e l’impossibile durante la pandemia e lo fa anche ora in emergenza. Proprio in questi giorni è la scuola a testimoniare la più grande prova di accoglienza e contemporaneamente a realizzare un momento fondamentale di partecipazione democratica con la conclusione delle elezioni delle rappresentanze sindacali in ottomila istituti scolastici del Paese.
E il Governo che cosa fa? Dopo la consultazione con i partiti, nelle stanze di Palazzo, tira fuori l’uovo di Colombo: se i soldi per il contratto non ci sono gli diamo quelli della formazione ( ma ci sono?).
Andiamo ancora per ordine: la retribuzione non è materia legislativa, ma contrattuale. E, invece. materia di discussione parlamentare il reclutamento e la formazione iniziale e la relativa copertura finanziari.
Così mentre si decide di ridurre per i prossimi anni la percentuale di spesa pubblica destinata al sistema di istruzione (-0,5% già in questo Def, pari a 7 miliardi e mezzo) e mentre le potentissime risorse del PNRR parlano di una modernità che non si realizza, si decide di utilizzare le risorse del PNRR destinate alla formazione – ce lo chiede l’Europa – per incentivare gli insegnanti a formarsi. Come? Con una Scuola di Alta formazione targata burocrazia ministeriale e la si contrabbanda come ampliamento dell’autonomia.
Tradotto: non ci sono i soldi per il contratto, non ci sono risorse in bilancio, usiamo i soldi del PNRR della formazione per dare qualcosa in più a chi decide di farla: si chiamerà «formazione incentivata», ma in finanziaria non ci sono e si vorrebbero utilizzare le risorse del MOF.
Si passa dalla “DEDIZIONE” alla “INCENTIVAZIONE”: venghino signori venghino a formarsi, ogni cinque anni qualche soldo in più per chi supera i test. Ai bocciati niente. Poche risorse per pochi, a rate, per step approvati da decisori esterni (i burocrati della neonata Scuola di alta formazione).
Un modo di procedere sbagliato due volte: dal punto di vista del metodo, perché non si discute di contratto presentando un decreto – legge; nel merito perché spacchettare i provvedimenti legando le risorse contrattuali (negoziali) ai processi di formazione iniziale e reclutamento (legislativi) significa sovrapporre campi che non hanno niente in comune.
Ministro – ha detto il segretario generale della Uil scuola, Pino Turi nel suo intervento – noi siamo appena usciti da un momento di grande democrazia partecipata del personale della scuola. Decine di migliaia di persone hanno espresso la loro idea di scuola. Ora si aspettano uguale rispondenza politica: superare la mistica dei concorsi e rinnovare il contratto, valorizzando il lavoro nella scuola.
Non sarà l’Europa a definire le regole dei nostri contratti, né a decidere percorsi meritocratici a tavolino.
Il passo da fare è aprire il rinnovo del negoziato contrattuale all’Aran e discutere lì di risorse e aumenti.
I lavoratori della scuola sono ‘professionisti’ – ha aggiunto Turi – non c’è lavoro gratuito. E non c’è formazione obbligatoria. Prima li paghiamo come professionisti e poi definiamo la formazione che loro intendono fare per la loro professione. Una scelta non una imposizione, a gettone.
Questo anno scolastico registra il tasso di precarietà più alto mai avuto: pensare a percorsi di stabilità professionale – ha sottolineato Turi – che passano attraverso un concorso pubblico, un contratto part-time con acquisizione di 30 cfu poi prova di abilitazione, poi anno di prova, poi valutazione, poi entrata in ruolo – è prevedere un sistema impraticabile e sbagliato perché non rispetta le persone e la loro professionalità.
Un sistema burocratico, già sperimentato in questi due anni, destinato a fallire anche questo.
Ultima annotazione sulle relazioni sindacali: il ministro presenta il decreto- legge attraverso slides, non con una anticipazione di testo. La sollecitazione a fare presto (e dunque l’urgenza) non viene dalla situazione in cui versano 300 mila precari ma da quello che vuole l’Europa che sollecita il nostro Paese a maggiore meritocrazia. Tutto per ricevere i soldi europei, magari destinati ad altri.
Invitati a parlare di insegnanti e personale anche i dirigenti scolastici protagonisti di un bel siparietto nel quale i dirigenti, pur facendo parte di un comparto diverso “devono sapere cosa accade nelle loro scuole”. Se dunque l’ingerenza della politica in materia contrattuale viene presentata in riunione, anche i Dirigenti richiedono la loro parte di protagonismo, dando consigli non richiesti e delineando progressioni di carriera non loro (la chiamata diretta, di stampo renziano, non è stata nominata, ma è stata percepita nell’aria).
Un clima di ristrettezze dunque: di risorse e di idee.
La solita ricetta neoliberista bocciata dalla cronaca e dalla storia recente della pandemia e della gurra.
Mentre il mondo cambia e il PNRR annuncia (ma non spende) miliardi per la scuola, le scelte di Governo vanno sempre nella stessa direzione, contenere i costi e fare classifiche per distribuirle.
E mentre Turi ricordava che – in questo modo hanno perso Berlinguer (la poltrona di ministro) e Renzi (la tenuta di governo con la protesta della scuola) – il ministro Bianchi, allargando le braccia, annuiva.